sabato 16 agosto 2014

La gabbia del sé nella Rete

Intenret come un'immensa Agorà, un luogo di scambio di informazioni, di confronto di idee e concetti, di divulgazione e formazione; Internet perno di un'evoluzione sociale inarrestabile e, anzi, più rapida e travolgente, la Rete come aggregatore di forze, volontà e ideali e, al centro di questo immenso hub, i social network.
Una visione forte, pervasiva, entusiasmante, impegnativa, capace di cambiare i significati delle cose in tempo reale, di fornire una svolta epocale grazie al confronto, come il concetto di "democrazia digitale" dove le decisioni vengono demandate al "popolo della rete" tentando un'improbabile osmosi fra i centri di potere rappresentativi ai singoli individui capaci di esprimere il loro parere attraverso il Web (ad esempio il Movimento Cinque Stelle ha adottato Internet come luogo del confronto interno e della pressione esterna, anche se in questo post non entra il giudizio politico, qui si parla del "come" e non del "cosa").

Tutto vero?

A giudicare dall'esperimento, eseguito dal redattore di Wired Mat Hanon, e riportato dal giornale online Dailystorm.it (cui questo post fa riferimento), le cose non starebbero proprio così.
Infatti, dai risultati emersi si manifersterebbe l'ipotesi teorizzata da Cass Sunstain circa il cosiddetto comportamento Daily me, una sorta di tendenza dell'utente di un social network di rimanere confinato in una sorta di "gabbia ideologica" in cui accetta solo contenuti che sostengono le sue opinioni, come meglio spiegato nell'articolo di Dailystorm che consiglio vivamente di leggere con attenzione.

Si tratta di un esperimento e quindi non ha la pretesa di "sancire il verbo" dei comportamenti sociologici di Facebook e simili. Anzi, lo scopo era semmai di analizzare il comportamento degli algoritmi del Social Network. Stefana Broadbent, nel suo libro "Internet, lavoro, vita privata" (Ed. Il Mulino), riporta a pagina 22 i risultati, condotti nel 2009 dal Facebook Data Team, da cui emerge che il numero di interazioni costanti dei navigatori è estrmamente limitato:
Il risultato è che ciascun utente, in media, ha 120 amici ma comunica attivamente con meno del 10 percento di essi.
Dunque si potrebbe affermare che la Rete non ha la capacità di sostenere gli enunciati con cui ho aperto questo post. O perlomeno, se lo fa, non è attraverso i social network.
Del resto è comprensibile. Cosa cerchiamo quando entriamo in un social network? Anzitutto le persone care, gli amici, i parenti, taluni (non tutti) colleghi di lavoro, e solo dopo, in base a quello che abbiamo trovato, allarghiamo la nostra rete sociale a persone che non conosciamo ma che in qualche modo la pensano come noi o ci fanno stare a nostro agio condividendo idee, interessi e gusti analoghi ai nostri.

L'esperimento mette in risalto il lato commerciale di Facebook, che del resto è un'impresa e ha come scopo finale quello di produrre profitti. Però, a mio avviso, contribuisce anche a spiegare quella sorta di solitudine e chiusura di molti soggetti che sovente esprimono opinioni in maniera violenta e intollerante. Si comprende meglio anche come e perché nascano e si diffondano bufale insensate e disiformazione.

I social network (come Internet) sono invenzioni fatte dall'uomo per l'uomo e inevitabilmente ne riproducono debolezze, limiti e virtù poiché sono strumenti, il cui uso è, ancora una volta, demandato al buon senso di ciascuno di noi più che ad un aglido algoritmo.