venerdì 31 ottobre 2014

I costi non economici della sicurezza

Quanto costa non avere i sistemi informatici al sicuro? Economicamente molto: perdite di dati di clienti, sanzioni, risarcimenti danni e altri guai facilmente immaginabili. Ma non sono i soli costi da affrontare, ce ne sono altri ben più gravi e incidenti a lunga scadenza. Anzitutto la perdita di credibilità: chi vorrà più fare acquisti sul nostro e-commerce se i dati che vi ripongono sono stati violati in passato? Le voci corrono e i forum e la reputazione sono territori, insieme ai social network, difficili da presidiare e capacissimi di divulgare notizie (sopratutto sgradevoli) in tempi rapidi. Ma anche la fiducia dei fornitori può venire meno poiché se non abbiamo cura di tutelare i dati che ci vengono forniti, come possiamo garantire che listini, condizioni di favore o altro non vengano diffusi e possano rappresentare un danno anche per loro? La sicurezza dei dati ha certamente dei costi, un risk assessment ha ovviamente dei costi notevoli ma di gran lunga inferiori a quelli determinati in sede legale, commerciale e di marketing che generebbe la sua non adozione. Ovviamente tutto deve essere curato e tutelato secondo misura, ma anche la più piccola impresa deve fare delle piccole/grandi operazioni periodiche di autotutela che, se non paragonabili alle imposizioni previste per sistemi complessi, hanno la loro ragion d'essere:
  • cambiare le password di accesso ai computer almeno una volta ogni tre mesi
  • cambiare le password di accesso al sito aziendale almeno una volta al mese
  • fare il backup periodico, almeno una volta alla settimana, dei contenuti degli hard disk dei computer
  • fare il backup mensile del sito internet
  • modificare ogni mese la password della casella di posta elettronica
  • aggiornare regolarmente sistema operativo, antivirus e firewall
  • imporre delle procedure scritte da sottoporre ai dipendenti per evitare incidenti imprevedibili
Un'azienda funziona bene quando, oltre a saper giocare con capacità e oculatezza sui mercati, oltre a saper acquistare, gestire il patrimonio e trattare con imprese e istituzioni, manifesta attenzione e pone sotto tutela il proprio patrimonio indispensabile: il database dei clienti.
Qualunque sia la sua dimensione.

sabato 16 agosto 2014

La gabbia del sé nella Rete

Intenret come un'immensa Agorà, un luogo di scambio di informazioni, di confronto di idee e concetti, di divulgazione e formazione; Internet perno di un'evoluzione sociale inarrestabile e, anzi, più rapida e travolgente, la Rete come aggregatore di forze, volontà e ideali e, al centro di questo immenso hub, i social network.
Una visione forte, pervasiva, entusiasmante, impegnativa, capace di cambiare i significati delle cose in tempo reale, di fornire una svolta epocale grazie al confronto, come il concetto di "democrazia digitale" dove le decisioni vengono demandate al "popolo della rete" tentando un'improbabile osmosi fra i centri di potere rappresentativi ai singoli individui capaci di esprimere il loro parere attraverso il Web (ad esempio il Movimento Cinque Stelle ha adottato Internet come luogo del confronto interno e della pressione esterna, anche se in questo post non entra il giudizio politico, qui si parla del "come" e non del "cosa").

Tutto vero?

A giudicare dall'esperimento, eseguito dal redattore di Wired Mat Hanon, e riportato dal giornale online Dailystorm.it (cui questo post fa riferimento), le cose non starebbero proprio così.
Infatti, dai risultati emersi si manifersterebbe l'ipotesi teorizzata da Cass Sunstain circa il cosiddetto comportamento Daily me, una sorta di tendenza dell'utente di un social network di rimanere confinato in una sorta di "gabbia ideologica" in cui accetta solo contenuti che sostengono le sue opinioni, come meglio spiegato nell'articolo di Dailystorm che consiglio vivamente di leggere con attenzione.

Si tratta di un esperimento e quindi non ha la pretesa di "sancire il verbo" dei comportamenti sociologici di Facebook e simili. Anzi, lo scopo era semmai di analizzare il comportamento degli algoritmi del Social Network. Stefana Broadbent, nel suo libro "Internet, lavoro, vita privata" (Ed. Il Mulino), riporta a pagina 22 i risultati, condotti nel 2009 dal Facebook Data Team, da cui emerge che il numero di interazioni costanti dei navigatori è estrmamente limitato:
Il risultato è che ciascun utente, in media, ha 120 amici ma comunica attivamente con meno del 10 percento di essi.
Dunque si potrebbe affermare che la Rete non ha la capacità di sostenere gli enunciati con cui ho aperto questo post. O perlomeno, se lo fa, non è attraverso i social network.
Del resto è comprensibile. Cosa cerchiamo quando entriamo in un social network? Anzitutto le persone care, gli amici, i parenti, taluni (non tutti) colleghi di lavoro, e solo dopo, in base a quello che abbiamo trovato, allarghiamo la nostra rete sociale a persone che non conosciamo ma che in qualche modo la pensano come noi o ci fanno stare a nostro agio condividendo idee, interessi e gusti analoghi ai nostri.

L'esperimento mette in risalto il lato commerciale di Facebook, che del resto è un'impresa e ha come scopo finale quello di produrre profitti. Però, a mio avviso, contribuisce anche a spiegare quella sorta di solitudine e chiusura di molti soggetti che sovente esprimono opinioni in maniera violenta e intollerante. Si comprende meglio anche come e perché nascano e si diffondano bufale insensate e disiformazione.

I social network (come Internet) sono invenzioni fatte dall'uomo per l'uomo e inevitabilmente ne riproducono debolezze, limiti e virtù poiché sono strumenti, il cui uso è, ancora una volta, demandato al buon senso di ciascuno di noi più che ad un aglido algoritmo.

domenica 26 gennaio 2014

Il nuovo Regolamento Europeo sulla Privacy: un treno perduto. Per ora.

Sembra ormai improbabile che il nuovo regolamento sulla protezione dei dati personali, che dovrebbe sostituire le varie leggi sulla Privacy nei Paesi aderenti all'UE (da noi il D.lgs. 196/03), sarà varato quest'anno. Ormai le elezioni europee sono alle porte e le campagne elettorali hanno la precedenza su tutto.
Se ne parlerà dopo l'insediamento della nuova commissione che riprenderà in esame il lavoro svolto, dunque ci attendono tempi lunghi.
Siamo di fronte al solito problema atavico del Vecchio Continente: le gelosie dei vari Paesi membri, le lobby e la lentezza (spesso voluta) decisionale, creano una zavorra insostenibile nella competizione globale. Infatti, fra i vantaggi ventilati dai relatori del nuovo Regolamento, vi era la convenienza dei navigatori a rivolgersi, per i loro acquisti, a siti internet di e-commerce europei anziché di altri continenti (USA in primis) meno garantisti circa la protezione dei dati personali.
Ma non solo, l'istituzione del Privacy Officer, quale figura obbligatoria per imprese di determinate dimensioni e caratteristiche nonché Enti pubblici e privati, rappresentava una notevole riduzione del rischio di sanzioni da parte delle Authority in quanto si tratta di una figura di tipo dirigenziale e autonoma, dunque garante dell'applicazione delle norme con la necessaria competenza.
È auspicabile, e anche probabile, che il futuro regolamento prenda le mosse dalla bozza attuale che, probabilmente verrà emendata in meglio (si spera), ma è fin troppo evidente che, ancora una volta, si è giunti in ritardo alla stazione e il treno, anche questa volta, è partito.