giovedì 12 dicembre 2013

Tipologia dei dati nella privacy

Continuando il percorso avviato ieri sulla Privacy (pronunciata "pràivasi" in americano e "prìvasi" in inglese), oggi affrontiamo un tema delicato che spesso è oggetto di confusione: la tipologia dei dati definiti dal codice (art. 4 DL. 196/03) e la gestione del cosiddetto benefondi.
I dati sono classificati in tre categorie:
  • Dati personali
  • Dati sensibili
  • Dati giudiziari
I dati personali sono le informazioni relative alle persone fisiche, alle persone giuridiche, ad enti e associazioni, sia direttamente che indirettamente e quindi, come recita la lettera b dell'art. 4, ivi compreso il numero di identificazione personale. Dunque tutto quello che permette di risalire ad una persona, ditta ecc. (nome e cognome, indirizzo, ragione sociale, indirizzo di posta elettronica ecc.).
Il codice distingue anche i dati identificativi (lettera c) che sono i dati personali attraverso i quali giungiamo all'identificazione diretta dell'interessato (persona fisica o giuridica, ente o associazione di cui si trattano i dati).
I dati sensibili sono invece quelli più delicati e si distinguono in informazioni che permettono di risalire a:
  • scelte religiose, filosofiche o di altro genere
  • opinioni politiche
  • adesione a partiti o a sindacati
  • vita sessuale
  • stato di salute
Data la delicatezza delle implicazioni dei dati sensibili, si comprende come il legislatore abbia posto paletti più restrittivi riguardo a questi ultimi ed in particolare nella gestione del consenso (di cui parleremo in seguito) che, anticipiamo qui, secondo l'art. 23, comma 4 è obbligatorio quando appunto tratta i dati sensibili.
I dati giudiziari sono invece quei dati personali relativi a informazioni riguardanti il casellario giudiziale (meglio conosciuto come fedina penale), lo stato di indagato o imputato, e tutte le informazioni relative a sanzioni amministrative e carichi pendenti. Anche qui la loro delicatezza impone che vengano equiparati, come trattamento, ai dati sensibili.

Ma andiamo oltre.
Spesso un imprenditore riceve un assegno da un cliente a fronte di una fornitura. In caso di dubbi sulla sua copertura egli telefona alla banca per richiedere il cosiddetto benefondi, in altre parole per sapere se quell'assegno è scoperto o meno. Talvolta la banca si rifiuta di fornire tale informazione sollevando questioni di privacy che c'entrano fino ad un certo punto.
A tal proposito il Garante della Privacy con la delibera del 25 ottobre 2007 e ancor prima, nel 1998, con il parere del 30 novembre 1998, afferma che "La legge n. 675/1996 in materia di dati personali non ha introdotto alcun divieto nei confronti del "benefondi"" e, nelle linee guida della delibera del 25 ottobre 2007 n.1457247, specifica all'art. 3.5 "La prassi del benefondi, tuttavia, deve trovare corretta attuazione: le informazioni devono essere fornite ai soli soggetti legittimati all'incasso o alla negoziazione dell'assegno, anziché a terzi non autorizzati; inoltre, le informazioni fornite dalla banca devono essere esatte, aggiornate e non eccedenti rispetto allo scopo per il quale il benefondi è utilizzato, che è relativo alla semplice informazione dell'esistenza o meno sul conto corrente del cliente della banca trattaria dei fondi necessari al pagamento dell'assegno".

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